Me in Edimburgh

Me in Edimburgh

martedì 26 agosto 2014

Tre parole sull'idiozia umana: Ice Bucket Challenge

Sono un po’ di giorni, troppi direi, che circolano sti video di persone più o meno sane di mente che si buttano secchiate di acqua gelata addosso, con o senza cubetti di ghiaccio all’interno, in nome della raccolta fondi per la ricerca sulla SLA, con l’obiettivo teorico di aumentare la sensibilizzazione dell’opinione pubblica su questa malattia in modo “simpatico e divertente”. In realtà il meccanismo ironico delle nomination per sensibilizzare al problema della SLA consisteva originariamente nel versarsi un secchio di acqua gelata in testa nel caso in cui NON si facesse una donazione: non faccio beneficenza quindi per punizione mi becco la secchiata. Poi è degenerato in questa "simpatica" catena.
Mi permetto un paio di riflessioni in merito:
prima di tutto a parere di chi scrive “NON C’E’ ASSOLUTAMENTE UN CAZZO DA RIDERE”. Se questa iniziativa provoca generalizzata ilarità invito tutti ad andare su wikipedia e leggere cos’è la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica). Wikipedia: SLA 
Faccio solo presente che è una malattia terribile, che cancella la connessione tra il cervello ed i muscoli di tutto il corpo in via degenerativa: praticamente un bel giorno inizi a perdere lentamente ed inesorabilmente il controllo del tuo corpo fino a che letteralmente non ti muovi più. Vorrei che ognuno di voi per un secondo pensasse a come si sentirebbe se sapesse di avere questa malattia, quanto apprezzerebbe tutto questo circo fatto più o meno a fin di bene, mentre realizza che fino a ieri riusciva a camminare anche se con difficoltà ed oggi no. Capisco l’esigenza di raccogliere fondi, ci mancherebbe, ma non si può sempre prendere tutto alla leggera. Io sono uno che usa l’ironia spesso e volentieri per andare vanti, ma mi rendo conto con non si può e non si deve ironizzare su tutto: riderci su può essere un modo per far riflettere le persone? Si a volte, ma non sempre.  Di certo non  buttandosi secchi di acqua addosso a volte manco spiegando di che si tratta, manco indicando un sito al quale far riferimento o un conto corrente per la donazione.
Per inciso il sito dell’Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica è questo:http://www.aisla.it/
Per donare si può fare online: Pagamento Online
Tramite bonifico bancario: codice Iban IT 04 V 05034 10100 000000001065
Tramite conto corrente postale: c/c: 17464280 intestato: A.I.S.L.A. Onlus

In questa sede non ho la minima intenzione di mostrare filmati divertenti sui personaggi famosi o meno che hanno partecipato all’iniziativa, alcuni sicuramente in modo sincero, altri probabilmente meno e solo per farsi pubblicità. Vi mostro solo 2 video che secondo il modesto parere del sottoscritto identificano perfettamente il senso giusto di questo fenomeno, soprattutto considerando che sensibilizzare è giusto, ma  la beneficenza, come qualcuno di certo più importante di me ha detto, si fa in silenzio, nell’anonimato e lontano dai riflettori.




Peace & Love

lunedì 18 agosto 2014

Nuovo raccontino intriso di romanticismo al limite della carie

Breve racconto decisamente romantico, non adatto ai deboli ai "denti" che rischiano con eccessi "zuccherosi". Per tutti gli altri sventurati che come me patiscono le pene dell'amore (ma fortunatamente anche le gioie), buona lettura.
Fonte: besport.org

La prima volta che il mio  cuore ha tremato nel modo giusto è stato decisamente nel posto sbagliato.
Un luogo buio umido, chiassoso pieno di gente sconosciuta  che ti scruta, ti esamina dall’alto in basso, sembrano voler capire con un solo colpo d’occhio cosa hai dentro…. Ma anche cosa hai sotto i vestiti.
Squallidi commensali ad un banchetto in cui anche se solo per un momento sono io il cibo.
Poi ho incrociato il mio sguardo con il tuo, conoscevi tutti lì, ma nei tuoi occhi non c’era malizia, solo ingenua voglia di piacere a tutti di essere in comunione con tutto quello che ti circondava, senza paletti e senza paraocchi.
Mi hai sorriso e lì ho capito che fino a quel momento avevo perso più di 30 anni a cercarti, che forse eri lì da sempre aspettando che finalmente arrivassi, come se ci fossimo dati appuntamento da tempo ma io non riuscissi a trovare la strada, e mi perdessi ogni volta.
Da quel momento quando il mio sguardo incrocia il tuo rivivo di nuovo quell’istante:

ogni giorno di questi tre anni insieme so che sentirò di nuovo quel tuffo al cuore, che toccherò di nuovo la pura felicità solo vedendo i tuoi occhi sorridenti perdersi nei miei, con una dolcezza senza fine, sempre come se fosse la prima volta.

sabato 9 agosto 2014

Nuovo mini-racconto: entro in sala e li sento litigare...

nuovo racconto del sottoscritto, tengo a precisare del tutto "non autobiografico". Fortunatamente nella band di cui faccio parte non abbiamo questi problemi... ne abbiamo altri!!!

Entro in sala e sento litigare: urla, insulti sembra la fine.
Eppure era cominciata coi i migliori auspici: tutti amanti della musica, tutti con esperienza, tutti con un fine comune: portare le nostre note alla gente.
Come siamo arrivati a tanto?
Fonte: www.helikonband.hu

Beh qualche segnale c’era: se io non avessi detto al nostro cantante che il suo timbro assomiglia a quello del gabbiano in calore, forse i nostri rapporti sarebbero ancora civili.
Se il chitarrista non si fosse trombato la fidanzata del batterista, pochi giorni prima del loro matrimonio (o mancato matrimonio che dir si voglia) forse tra loro non ci sarebbe una leggera acredine.
Se, dopo la seconda serata dal vivo, il nostro cantante non avesse iniziato a parlare con la gente di unico gruppo depositario della fiamma sacra della musica in Italia, facendo incazzare il mondo, probabilmente saremmo tutti più sereni.
Ma non è andata così.
Quando sento le note uscire dalla tua bocca, vorrei dire che mi viene la pelle d’oca…. Ma è più la sensazione che si prova quando si passano le unghie su una lavagna.
Vorrei dirti che il tuo timbro mi ricorda certi cantanti blues americani, ma ormai mi vengono in mente solo neomelodici napoletani…. Fronna compresa.
Mi piacerebbe volar via con la fantasia quando sento un tuo assolo di chitarra e non assistere all’arrivo di frotte di cani attratti dagli ultrasuoni … unici esseri viventi attratti, del resto.
Il tuo essere batterista virtuoso vorrei che attraesse le folle, con un carisma che una volta riempiva gli stadi…. Invece alla festa della mulignana mbuttunata sembrava che volessero andar via anche le melenzane stesse.
Fonte: www.romalive.org

La domanda a questo punto nasce spontanea: perché siamo ancora qui?
Perché sono ancora di fronte ad ognuno di voi in questa saletta umida e male illuminata, a provare per l’ennesima volta?  
Forse è solo il ricordo di quel che era e potrebbe ancora essere;
forse perché il nostro tempo non è illimitato, e vorremmo ancora lasciare una traccia vera, prima di chiudere i battenti.
Forse perché per ogni nota sbagliata, per ogni nota stonata, ce ne sono ancora milioni che possiamo scrivere suonare e cantare… il nostro tempo non è illimitato, questo è vero.
Ma non è ancora finito.

 
Fonte: musicacademyrome.com

giovedì 7 agosto 2014

Picasso a Sorrento: tra Tette Tatto e Tuttologia

Nel mio girovagare “agostano” mi sono trovato insieme ad amici a Sorrento. Occasione: una piccola mostra di opere di Picasso.
Premessa: io non ho una particolare competenza per quel che riguarda quadri sculture ed opere d’arte di tal guisa, sono un curioso osservatore. Diciamo che mi piace vedere le sensazioni che nei miei tre neuroni e nel mio cuore suscita l’osservazione di tali opere; però lo dico apertamente che non ci capisco nulla di tecniche pittoriche, della pennellata del folle etc.etc .
La mostra si svolge a Villa Fiorentino nel centro di Sorrento.

Il costo è decisamente contenuto (euro 5) la location è decisamente suggestiva.
Arriviamo intorno alle 16 dopo un viaggio iniziato alle 14.30: i miei neuroni si sono già sciolti per il caldo e per il sonno post-pranzo.
Non sto qui a darvi informazioni tecniche su quadri, bozzetti, ceramiche perché rischierei di dire cretinate o di fare inutili copia incolla da siti che ne parlano diffusamente e certamente meglio di quanto  potrei fare io:www.fondazionesorrento.com/pablopicasso

Preferisco parlare di cose molto più futili: la quantità spropositata di tette presenti nelle opere di Picasso (almeno in questa mostra) tette di tutte le dimensioni, su donne in tutte le posizioni, se non fosse per le proporzioni volutamente alterate e per il contesto “artistico” penserei di assistere ai fotogrammi di un porno, anche perché in evidenza non ci sono solo i seni, diciamo che Picasso amava mostrare tutta la”carrozzeria”.
Quello che trovo interessante è che la mostra si focalizza su molto del lavoro dell’artista nell’ambito teatrale; fotografo “Salomè” poiché mi colpisce come in poche figure su fondo bianco Picasso definisca perfettamente il contesto e l’energia che quella donna sprigiona in una sola posa.

Fotografo anche un dipinto di una donna con accanto il figlio perché lo avevo visto già un’altra volta: una riproduzione di questo quadro era a casa di una mia zia ed ho sempre pensato che fosse qualche opera di quelle che si trovano nei mercatini (beata ignoranza), fatte in serie, anche se il dubbio ce l’ho sempre avuto: di solito i soggetti sono panorami di case diroccate su tramonti sbiaditi, donne nude, Madonne con seni asimmetrici in evidenza accanto a Gesù bambini sovrappeso (si fa per ridere).

Sono comunque circondato da esperti più o meno veritieri. Premesso che il mio “tatto” e la mia “gentilezza” stranamente in questo caso m’impediscono di picchiare tutti coloro che esprimono giudizi e valutazioni a voce alta, assolutamente non richiesti, ma la cosa più divertente è la portata di tali giudizi. Io non ci capisco nulla ma almeno non mi ergo a profondo conoscitore lanciando intorno a me nozioni che vanno da “quanto somiglia in certi tratti a Caravaggio” (lì mi sono cominciate ad uscire le bolle) fino a “fotografo queste litografie su ceramica perché le voglio riprodurre sui miei piatti….o su una t-shirt” (arrrrgh ).
I miei amici sono piuttosto delusi, io tutto sommato sono divertito, probabilmente più dal contesto generale che dall’effettiva portata della mostra.
Diciamo che il momento culminante della visita, quando tutto comincia a trovare un senso, a trovare la giusta collocazione, è nell’entrare in un famoso negozio di produzione di “Limoncello” con assaggio gratuito del prodotto locale, primo secondo e terzo giro.
Il viaggio di ritorno è stato un sublime russare per un’ora e mezza

Peace & Love 

lunedì 4 agosto 2014

Visitando ed "incocciando" Napoli Sotterranea

Siamo in estate e questo tempo magnifico, si fa per dire, spinge ad uscire, camminare vedere e visitare.
Ultima visita, in linea con tempeste, temporali pioggia e freddo di questi giorni è stata a “Napoli Sotterranea”.
L’entrata che abbiamo raggiunto si trova in un vicoletto di via dei Tribunali, precisamente quando incrocia con piazza San Gaetano.
Fonte: wikipedia.org

Le visite sono a gruppi e rigidamente con la guida…. Ma ovviamente il motivo c’è e non da poco.
Se hai l’incredibile possibilità di scendere li sotto, senza guida e senza conoscere il posto c’è la concreta possibilità che non torni più su!!! Il luogo è vastissimo e pieno di cunicoli un vero e proprio labirinto, particolarmente affascinante.
Quindi la guida in italiano oppure in inglese, ed abbiamo visto anche un gruppo con guida in francese.
Il biglietto è 10 euro e la visita dura un’ora ed un quarto circa ma anticipo che ne vale decisamente la pena.
Si parte a gruppi ogni ora, noi abbiamo fatto parte di uno dei gruppi delle 16, con guida in italiano ovviamente.

Ho avuto la “fortuna” di far parte di un gruppo di amici intrepidi e coraggiosi come me, io che non guardo film dell’orrore perché “m’impressiono”.
Scendiamo le scale che portano a circa 26 metri in profondità dietro la guida e ci troviamo subito in un’area molto ampia. La guida, tale Daniele De Simone, è decisamente preparata e con una giusta dose di simpatia e di ironia, mista a critica a certe “abitudini napoletane” di cui vi dirò poi.
Ci spiega che gli spazi in cui ci troviamo erano adibiti ad acquedotto e ci illustra anche le funzionalità e la storia di quell’acquedotto e di tutti quelli che più o meno fino ai giorni nostri hanno alimentato, nel bene e nel male, la città. Dico così perché per un periodo non necessariamente breve Napoli è stata alimentata anche da acquedotti all’aperto che ovviamente oltre che l’acqua portavano anche tutto ciò che nel viaggio verso la città ci finiva dentro (si pensi all’epidemia di colera 1836 – 1837).
La guida ci spiega anche la nascita della leggenda del “Munaciello” legata a filo doppio con l’acquedotto.
Si pensi agli scavatori e “manutentori” dell’acquedotto, costretti lì sotto per ore ed ore al giorno, a fare un lavoro massacrante, con gli occhi rossi per la fatica e per la penombra. Per difendersi dall’umidità questi cosiddetti “pozzari” indossavano lunghe vesti nere e, per arrotondare il guadagno, sapendo le uscite dell’acquedotto corrispondenti ai palazzi, spesso di ricchi possidenti, nella notte facevano loro visita derubandoli di ciò che potevano. Da qui la leggenda del munaciello che ruba fa i dispetti ed a volte picchia (probabilmente i pozzari che  non trovavano niente da rubare si “rifacevano” sui malcapitati abitanti della casa visitata).
Un ulteriore utilizzo dei cunicoli della Napoli sotterranea durante la seconda guerra mondiale è stato ovviamente quello di rifugio, soprattutto per anziani e bambini nei periodi in cui i raid aerei erano frequentissimi e non potevano far su e giù ogni 3 ore, quindi finivano per restare lì giorni interi: infatti si sono trovati resti di giocattoli che ovviamente utilizzavano i bambini per passare il tempo in quel luogo, si affascinante ma di certo desolato. Per ulteriori info storiche: Napoli Sotterranea
Il mio momento di “ansia” arriva quando c’è la facoltà, badate bene, non l’obbligo di fare un tratto di circa 150 metri in un cunicolo all’inizio basso, e talmente stretto da doverci passare di lato. La guida da ad ogni coppia una candela per vedere la strada e dove mettiamo i piedi (come se ci fosse da scegliere). Ovviamente i miei amici tutti “Braveheart” decidono di andare, vedere, che sarà stupendo meraviglioso affascinante… ed io mi accodo.
All’entrata forte del mio metro e 90 centimetri prendo una testata che è risuonata ampiamente data la forte eco… grande felicità ed i primi 100 santi del calendario mandati a….in benedizioni.
Poi il cunicolo diventa decisamente più alto, ci spiega la guida di circa 8 metri per errore degli architetti del tempo, e per nostra felicità, ma sempre strettissimo; la sensazione non è piacevolissima, diciamo che se non la prendi a ridere o non pensi al “Dalai Lama” potrebbe venirti una crisi di panico. Noi abbiamo iniziato a cantare la canzone dei sette nani “andiam andiam andiamo nel cunicolo….” E sono passati anche i 150 metri.
C’è da dire che il panorama è trascendente, poiché il cunicolo sfocia in una serie di vasche ampie che con la penombra creano giochi di luce sull’acqua.

Finito il cunicolo torniamo su e la guida ci fa vedere i segni dei resti del teatro greco, struttura al tempo mastodontica, tutta bianca e talmente alta che era visibile dal mare ma di cui oggi resta ben poco se non alcune sezioni visibili sotto i bassi napoletani accanto a piazza san Gaetano. La storia del teatro però è davvero affascinante, soprattutto perché la guida la narra magistralmente, ricordando che tale teatro era spesso visitato da Nerone che vi si cimentava come attore, con pessimi risultati, ma portandosi  i bombi( (quella che ai giorni nostri definiremmo la claque, appositamente pagata). Certe cattive abitudini hanno radici lontane.
La visita finisce con un giro in un’ex falegnameria che in realtà è un’altra sezione dell’antico teatro ed ora sede di una piccola mostra dei pastori del tradizionale presepe napoletano, delle effettive opere d’arte.

Conclusione: gran bella visita, gran bella testata con bernoccolo, ed ennesima conferma che Napoli ha tanti tesori nascosti, scarsamente valorizzati o evidenziati tra mille difficoltà ma forse anche per questo incredibilmente affascinanti.
P.S. dimenticavo una cosa essenziale: la scritta che abbiamo trovato fuori ad un basso alla fine della visita che da sola vale l'esperienza:
Peace  & Love

giovedì 31 luglio 2014

Musica+Teatro+Londra=ONCE

La mia passione per la musica, per il teatro e per Londra ha creato parecchi mix, a volte nocivi, come nel caso di visioni e ri-visioni del medesimo spettacolo anche nella medesima settimana, come in quei film in cui passi sempre lo stesso periodo di tempo in modo identico, come in un loop infinito.
A volte invece produce un sano interesse per “prodotti artistici” di grande livello.
E’ il caso di “ONCE”.
Nasce come film (produzione irlandese) dalle idee del regista John Carney e dalla musica di  Gleen Hansard e Marketa Irglova (che sono anche i due protagonisti del film), nel 2006. Prodotto con metaforici “3 euro”, veramente un low low low budget, è un’autentica opera d’arte. Un film con tanta meravigliosa musica, con dialoghi stringati in cui poco è detto e molto è sottinteso.
Fonte: amazon.com

Da tale film 3 anni fa è stato tratto un musical, prima a Broadway e poi, l’anno scorso, anche a Londra.
Premetto che il film ha vinto l’oscar per la miglior canzone "Falling slowly".
Il musical non poteva essere da meno, intascando 8 Tony Awards (gli oscar del teatro in America) e 2 Oliver Awards (gli oscar per il teatro in UK).
Nel caso voleste vederlo non spoilero nulla, dando un breve accenno introduttivo della storia: un musicista di strada, irlandese, a Dublino, incontra una polistrumentista ceca che finirà per aiutarlo, volente o nolente,  a dare una svolta alla sua vita. Per ulteriori info e spoiler:Wikipedia - Once (Una volta)
Le canzoni sono tutte fantastiche e, partendo da questi presupposti ho visto il musical con un po’ di timore, soprattutto pensando che gli autori della trasposizione in teatro erano “American boys”. Il risultato è davvero notevole, ed alcune trovate sono brillanti. Partiamo dal presupposto che i primi 5 minuti dello show sono assolutamente interattivi: sulla scena c’è un bancone da bar ed il personale di sala in teatro invita il pubblico a salire sul palco per prendere il “beveraggio” direttamente a quel bancone. Mentre sei lì che sorseggi il tuo drink improvvisamente parte lo show con gli attori/musicisti che iniziano a suonare, con te che ce li hai a 10 centimetri di distanza.  Quando poi partono i recitativi lo staff ti invita gentilmente a riprendere posto in sala.
L’allestimento è minimale ma decisamente affascinante, giocato soprattutto sulle luci e sulla forza delle canzoni.

Fonte: www.indipendent.co.uk
Fonte: www.indipendent.co.uk
Fonte: www.indipendent.co.uk
La cosa più strana è che mi ha fatto un effetto completamente diverso rispetto al film. Il film mi era piaciuto davvero tanto, mi aveva colpito ed anche commosso un po’.
In teatro quando è partita “falling slowly” che c’è all’inizio ed in reprise alla fine dello spettacolo, dicevo, dopo le prime tre note ho iniziato a grondare lacrime di commozione…. A piangere,  ma esageratamente!  Mi sono sorpreso di me stesso. Stessa scena alla fine, ma devo dire che al termine dello show a piangere non ero solo io.

Per fare la prova del tre sono tornato dopo mesi a rivedere lo show… ed ho pianto di nuovo, anche se fortunatamente non con la stessa intensità.
Non svelo ulteriori dettagli, dico solo che chi si trovasse a Londra non si faccia sfuggire questo piccolo capolavoro, si rechi al botteghino di prima mattina, così da veder di beccare posti in prima fila a prezzi scontati… e tenga d’occhio il led luminoso presente sul palco e le scritte che appaiono, non dico altro.

Peace & Love 

martedì 29 luglio 2014

A gentile richiesta: breve biografia Jovine

Dopo il post sul concerto e sul film “Song’e Napule” ho avuto richiesta di info su Valerio Jovine e la sua band, e più in generale su alcuni artisti napoletani.
Partiamo con una “breve” biografia su Jovine.
Fonte: facebook.com/jovineofficial
Il progetto “Jovine” nasce nel 1998 per mano di Valerio Jovine insieme al fratello Massimo dei 99 Posse.
Il primo album “CONTAGIATO” (BMG), arriva nel 2000: Valerio dopo una lunga gavetta in quelli che lui stesso ha definito, ironicamente, i “peggiori” locali di Napoli, sua città natale, propone per la prima volta un suo lavoro discografico: https://play.spotify.com/album/1iBXc2Yq9gxcAeYUlP4ZHH
Dopo questo primo cd, Valerio si avvicina sempre più al mondo della musica reggae. Nel frattempo il progetto Jovine si arricchisce della collaborazione di quei musicisti che diventeranno poi parte integrante del progetto stesso:  Alessandro Aspide al basso, Michele Acanfora alla tromba, Francesco Spatafora alla chitarra, Guido Amalfitano alla batteria e Paolo Batà Bianconcini alle percussioni.
Nasce, nel 2004 “ORA”, cd distribuito da “Il Manifesto”.
L’album contiene brani apprezzatissimi dal pubblico nei live come “L’immenso”,  “C.C.C.” e “Ci sono giorni”, ispirata dai terribili fatti di Genova 2001, visti dal punto di vista di chi sognava semplicemente un mondo migliore e si è trovato davanti quello sfacelo.

Dopo un anno Valerio e la sua band si rimettono al lavoro e realizzano l’album “SENZA LIMITI”, prodotto da Rai Trade, i cui brani scritti in gran parte in dialetto napoletano, rimarcano l’appartenenza di Jovine alla propria terra: canzoni come “O’Reggae e Maradona” e “Da sud a sud” fanno crescere in notorietà la band partenopea e “No Time” diventa indiscutibilmente il loro inno. Personalmente di questo disco amo “Love revolution”, brano dal sound fantastico e con un testo estremamente significativo.

Dopo un lungo tour in giro per l’Italia, nel 2009 esce “IL MONDO E’ FUORI”, album completamente autoprodotto ed auto-distribuito, che contiene 13 tracce dalla natura profondamente reggae anche se con sonorità assolutamente originali, arricchito da numerose collaborazioni con musicisti quali Cico, Jah Sazzah e Don Skal degli Aretuska, Luca O’Zulù Persico dei 99 Posse, Speaker Cenzou nella mitica “Passann pe’ llà” e Cor Veleno.

Dopo due tour, di cui uno insieme a Zulù, nel 2010 Valerio, parallelemente al progetto Jovine, entra a far parte come seconda voce della nuova formazione live dei 99 Posse, tornati dopo dieci anni sulla scena musicale con l’album “Cattivi Guagliuni” , alla cui realizzazione collabora ampiamente.
Nel 2011 gli Jovine tornano in studio e realizzano “SEI”, l’album che possiamo definire della maturità. Chiamarlo un album reggae sarebbe estremamente limitativo: “SEI” parte dal reggae per esplorare nuove sonorità, per sperimentare influenze diverse. “Napulitan” diventa il nuovo inno della band, brano urlato ed osannato a gran voce dal pubblico in tutti i live.

Un brano come “Di notte” è emblematico di una ricerca che fa del reggae il cuore ma che arriva fino a contaminazioni alternative rock (stile Subsonica per dare un riferimento). Spotify: "Di notte" Continua la collaborazione con musicisti della scena musicale napoletana: oltre al già citato Zulù, presente appunto in “Napulitan”, si conferma la  collaborazione con Speaker Cenzou, in “My music”, la presenza di Ivan Dope One in “Napl sona” e di Dj Uncino in “Di notte”, “La matematica” e “Ci sono regole”.
I live in giro per l’Italia mostrano al pubblico una band matura, affiatata, un gruppo di amici oltre che di professionisti, che suona ancora per il piacere di farlo e di comunicare un messaggio, che arriva puntuale a tutto il pubblico entusiasta.
Il 2014 degli Jovine e caratterizzato, fino ad ora, dalla partecipazione di Valerio al talent “The Voice”… ma questa è un’altra storia.
Stay tuned


domenica 27 luglio 2014

Breve Racconto "La mia Prima Volta"

In questa domenica di un Luglio che sembra Marzo (o Novembre), mi sono svegliato con in testa il pensiero ad un mio vecchio (ma non troppo) racconto che mi strappa sempre un sorriso... per non dire una risata, per tante ragioni, e che pubblico qui di seguito. Spero ne strappi qualcuno/a anche a chi lo leggerà.

Fonte: www.lucediabbracci.it

Mi piace pensare che un giusto sottofondo musicale a questo "peccato veniale" sia una canzone che io trovo geniale per musica, contenuto ed ironia: "Bocca di Rosa" di Fabrizio De Andrè

LA MIA PRIMA VOLTA
"Ho toccato la tua pelle, con delicatezza come se un gesto un po’ più forte potesse lacerarla.
Ho cercato di trattarti con rispetto, con il rispetto che altri non avrebbero avuto:
c’è chi voleva tagliare le tue ali ma io non l’ho permesso.
C’è chi voleva strapparti la pelle dal petto ma io non l’ho permesso.
Ti ho dato tutto il tempo necessario per maturare.
Ho cercato di darti tutto il calore di cui avevi bisogno per raggiungere un livello nuovo, diverso.
Ma è bastato un momento di debolezza, di distrazione e tutto è finito, tutto è andato in fumo.

Ebbene si, quella è stata la prima, la mia prima volta…. La prima volta che ho bruciato quel cacchio di pollo arrosto."


venerdì 25 luglio 2014

Girando per la rete mi sono imbattuto in "the Sunpilots"

Qualche settimana fa, nel mio girare in rete alla ricerca di musica interessante mi sono imbattuto in un gruppo australiano, The Sunpilots, che mi ha colpito, prima che per la musica, per l’attuale stile di vita:
sono una band, assolutamente indipendente,  al secondo album, che gira il mondo per far sentire la propria musica, facendo couch surfing.
Fonte: thesunpilots.com/sugarcoated
Pazzi? Forse, ma con un’idea molto precisa del fare musica “on the road”, che non ha molto a che fare con le logiche del mercato, ma piuttosto con l’essenza del portare il proprio suono in giro, toccare con mano il feedback del pubblico, di chi ascolta i loro brani senza preconcetti: considerate che il loro secondo lavoro si può scaricare gratis dalla rete.link dove scaricare "King of the Sugarcoated Tongues" Formatisi nel 2008 fino ad ora hanno suonato in Gran Brategna, Germania, Francia, Paesi Bassi, Svezia, Belgio, Austria, Svizzera, Italia, Polonia, Slovenia, Lettonia e Lituania, oltre a 5 tour in patria. Ho ascoltato attentamente, e più di una volta, “King of the Sugarcoated Tongues”, il loro ultimo lavoro, un concept album di 8 brani, da sentire assolutamente tutto d'un fiato, da riascoltare facendo attenzione anche ai testi, che hanno decisamente una loro profondità ed una loro originalità. La voce del loro frontman, Raj Siva-Rajah colpisce dalle prime note, come la chitarra dell’altro membro fondatore della band, Bob Spencer, sempre centrale nei loro arrangiamenti. Tutto il disco merita gran considerazione ma confesso che sono rimasto particolarmente colpito soprattutto dai capitoli “V”, Rain e “VI”, The Piper Mirror.

A me personalmente ricordano qualcosa dei primi Muse, ma quel che è certo è che qui non c’è nessuna ricerca del prodotto commerciale, piuttosto la precisa volontà di comunicare qualcosa. Che ci siano riusciti o meno questo sta a ognuno di coloro che ha ascoltato, ascolta o ascolterà il loro lavoro, stabilirlo. Per me è un "SI".

Peace & Love

giovedì 24 luglio 2014

Riflessione partendo dal nuovo film dei Manetti Bros.

L’altro giorno ho visto, o meglio rivisto, al cinema “Song ‘e Napule” l’ultimo film dei Manetti Bros.
Premessa: odio i luoghi comuni, mi fanno venire le bolle, in particolare i luoghi comuni su Napoli: è una città incasinata e con tremila problemi, ma non si può ridurre tutto sempre a pizza, mare, mandolino, munnezza e scippi!
Napoli è certamente una città con una sua unicità (di cui spesso i napoletani si vantano e non sempre a ragione), ma con delle problematiche né maggiori né minori rispetto a tante altre.
Sono rimasto positivamente colpito dal film dei Manetti perché parla di Napoli cercando di non scadere nelle banalità, anche se non sempre ci riesce, ma sono peccati veniali.
Fonte: My movies.it

Prima di tutto, come hanno ammesso loro stessi, hanno girato nel centro, con tutte le difficoltà che questo comporta, perché a Napoli, cito alla lettera, “ogni scorcio è una cartolina”.
Inoltre hanno cercato di sfatare un altro luogo comune, anzi due: prima di tutto la musica che viene fuori da questa città non è solo la musica dei cantanti neomelodici; c’è tanta produzione musicale che nasce da queste strade, da questi vicoli, dei generi più disparati, dal rock, al reggae, dall’hip hop alla dance.
Basti pensare ai Sangue Mostro, a Valerio Jovine e la sua band di cui ho scritto di un fantastico concerto all’Arenile di Bagnoli,qualche giorno fa; lo stesso Franco Ricciardi, nato e cresciuto come neomelodico, lo dico perché anch’io avevo molti preconcetti sul suo conto, va ascoltato soprattutto negli ultimi lavori: dimostra di essere un musicista con la M maiuscola, poi il genere i testi e/o la voce può piacere o meno, ma va rispettata la voglia di ricerca ed anche di sperimentare cose diverse, che si sente nei suoi pezzi. Considerate che il suo brano, " 'A Verità " presente nel film, ha vinto il David di Donatello 2014 per la miglior canzone.

Il secondo luogo comune sfatato, è che tutti i neomelodici vivono solo o quasi cantando ai matrimoni dei boss. Come tutte le generalizzazioni, anche questa è sbagliata: ci sono quelli che razzolano male e quelli che razzolano bene, ci sono quelli che ci si trovano in mezzo loro malgrado e quelli che sicuramente ci “azzuppano il pane” per così dire.
Quel che resta vedendo il film, che del resto è un prodotto che mischia in maniera intelligente diversi generi, dal poliziesco alla commedia, al musical-e, è una visione di Napoli un pò diversa dal solito, forse un pò più originale.
Il luogo comune non sfatato? che a Napoli la gente ti bussa anche se c’è il semaforo rosso: intendiamoci: c’è gente che lo fa, ma fortunatamente non sono la regola.
Unico neo per me del film: che per l’ennesima volta in un film dei Manetti, Peppe Servillo, cantante ed attore per me straordinario, fa la parte del cattivo. Damn!!!
Qui sotto il link dei primi minuti del film, con un eccezionale e quantomai esilarante Carlo Buccirosso.
Peace & Love


martedì 22 luglio 2014

12/07/14 Concerto di Valerio Jovine e della sua band

Bagno di folla per Valerio Jovine e la sua band nella prima data a Napoli del tour estivo. L’atmosfera è stata fantastica: giovani e meno giovani, famiglie con figli su e giù dal  palco (anche Valerio da pochi mesi e divenuto papà), ambiente decisamente molto “reggae style” con tutte le connotazioni positive che il termine intende.


Il concerto lascia poco o nulla allo show, laddove per “show” si intende qualsiasi cosa che non c’entra niente con la musica. In realtà lo spettacolo è grandioso, ma per la voce ed il carisma di Valerio, per la qualità la passione e la simpatia dei suoi musicisti, per un pubblico quanto mai carico e caldo (considerata anche la serata magnifica nonostante le previsioni metereologiche tutt’altro che beneauguranti).

Il palco ed il pubblico si riscaldano subito, cominciando con “l’esordio” di Valerio a The Voice, alias la cover, tutta “Jovine style”, di Like a Virgin; poi si continua con tutti i grandi pezzi del repertorio della band che vanta all’attivo ben sei CD, e con una connotazione musicale che considerare solo reggae sarebbe assolutamente limitativo. Gli Jovine vanno ascoltati dal primo all’ultimo pezzo dei loro lavori, per capire di che sound assolutamente originale e sicuramente con qualcosa da dire abbiamo davanti. Valerio è un fiume di note, di energia e di parole, simpatico trascinante come solo lui sa essere. Menzione particolare per “Napulitan”: il brano fa esplodere  l’Arenile due volte, sia durante il concerto che come bis, insieme a “Tu chi sei” invocata a gran voce dal pubblico durante i bis. Qui un piccolo assaggio:  https://www.facebook.com/photo.php?v=10152395207048780
Alla fine tutti felici contenti e consapevoli, se ce ne fosse bisogno, che Napoli aveva ed ha ancora un grande artista ed una grande band (per la verità non ci serviva “The Voice” per saperlo :D)

lunedì 21 luglio 2014

Visita "suggestiva" al Cimitero delle Fontanelle

Sabato ho visitato per la prima volta il “Cimitero delle Fontanelle" (chiamato in questo modo per la presenza, in passato, di fonti d'acqua). Io che tra pochi giorni raggiungerò la veneranda età di 43 anni e che vivo a pochi chilometri da Napoli non c’ero mai stato. Il Cimitero si trova nel famoso e famigerato Rione Sanità, che poi tanto famigerato non mi sembra proprio… ma ne parliamo dopo.
Il luogo è a stento indicato da qualche sporadica freccia posizionata in maniera assolutamente casuale, tanto che senza Google map non so se l’avremmo beccato, se non chiedendo ai passanti.
La strada più breve se non si vuole arrivare con l’auto in quelle zone è prendere la metro e scendere alla fermata “Materdei”.Da lì c’è una piccola salita da fare e poi le scale a scendere che ti portano a 100 metri dal Cimitero.

Dovunque cercate su internet trovate l’indicazione: orario di apertura 10 – 17. In realtà l’orario è 10 – 16 purtroppo. In compenso l’entrata è assolutamente gratuita.
Fatta questa doverosa descrizione del come ed in che orario arrivarci, le considerazioni  che si possono fare sono le più disparate. Dal misticismo del luogo, ad una certa cultura napoletana dell’affidare i propri desideri e speranze a qualcosa di esterno a noi, come una “capuzzella” del Cimitero,  da quella bellezza “oscura” all’assoluto senso di rispetto per tutti quei defunti. Non entro nel merito delle leggende che si narrano intorno a quegli scheletri che potete trovare, insieme a molte informazioni storiche, sulla pagina di Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Cimitero_delle_Fontanelle

Personalmente credevo che mi avrebbe fatto maggiore impressione, considerando che sono un fifone e che pensavo che avrei avuto momenti di, diciamo, timore. In realtà il luogo è pieno di suggestioni, che possono essere solo in parte raccontate, con tutte quelle teste impilate ordinatamente, con il vetro in terra dal quale scorgi altre teste e scheletri, il che ti fa capire che sotto i tuoi piedi ci sono file e file di defunti. La vista di alcune di quelle teste messe in cassettine e girate, come se stessero di spalle, ti fa in parte sorridere ed in parte riflettere per la causa di tale posizione della testa: nella tradizione la testa viene girata “di spalle” quando le viene chiesta una grazia e questa… tarda ad arrivare. Viene spontaneo pensare: cosa avranno chiesto a quella “capuzzella”? Qualcosa di sciocco e superficiale, o c’è dolore dietro quel gesto. Si può discutere sull’ignoranza legata al credere a certe cose, ma di certo mi è venuta tanta tristezza nell’immaginare le attese deluse per la mancata grazia: per l’arrivo di un figlio, per un lavoro, per l’amore etc. etc. etc    

Per passare a temi più leggeri mentre il Cimitero sortiva tali pensieri, molto diversi sono stati quelli che son venuti fuori nel camminare da lì, dal Rione Sanità fino al centro, a Piazza Cavour. Come hanno dichiarato i Manetti Bros.  dopo aver girato il loro ultimo film “Song ‘e Napul” ogni scorcio di questa città è una cartolina.

I vicoli, le stradine strette nelle quali a stento ci passa un’auto sono incredibilmente suggestivi. I mercatini che spuntano all’improvviso da dietro un angolo ti fanno sentire il calore di questa città che in realtà è tante metropoli in una. Ovviamente parliamo di zone in cui non è sempre il caso di stare col naso all’aria perchè puoi trovarti con qualcosa in meno... ma credo che non bisogna più scadere nei luoghi comuni quando si parla di Napoli: purtroppo tutte le città, di certe dimensioni soprattutto, hanno quartieri un po’ più “pericolosi”. Chiudo con alcune foto degli scorci che solo in parte possono far intuire il fascino di quel luogo assolutamente originale.

venerdì 18 luglio 2014

I feel... Wicked.

La musica è stata ed è una delle mie passioni se non la mia passione principale. Lo è sempre stata, da ascoltatore e da “suonatore”. Ultimamente anche da compositore… ma questa è un’altra storia.
Nel mondo che fino ad ora ho esplorato c’è una città in cui questa passione si fonde molto bene con l’altro mio pallino, il teatro. Questa città ovviamente è Londra.
Da qualche anno, appena tempo lavoro e denaro me lo consentono, ci scappo anche solo per un weekend per vedere, sentire, assorbire quel che posso, novità musicali o anche show che ho visto e rivisto ma che mi appassionano ancora.
Partiamo dal presupposto che tra le ricchezze artistiche di Londra c’è la vasta presenza di teatri che esprimono arte a 360 gradi. La fanno da padrone i musical che però nel mondo anglosassone hanno una valenza diversa rispetto all’Italia (dove sono quasi quasi considerati un sottoprodotto dell’opera). Un musical è un perfetto compendio di teatro e musica, fatto a livelli artistici e produttivi ovviamente molto alti. Ci sono spettacoli che sono in scena a Londra da più di vent’anni, con successo immutato.
In questa sede parliamo dello spettacolo che fino ad ora ho visto più volte e con più piacere: WICKED.

Questo show parte dal libro di un autore americano, Gregory Maguire, che ha riscritto la storia del “Mago di Oz” da un diverso punto di vista. Nel suo libro, Elphaba, la strega verde, non è la cattiva, la storia si volge prima dell’arrivo di Doroty nel mondo di Oz, un mondo dominato dal Mago dove gli animali, parlanti e non, sono oppressi e spinti in cattività. Non svelo altro per chi voglia andarlo a vedere, ed assicuro che ne vale la pena. La storia è una scusa per parlare di diversità, di tolleranza ed ovviamente d’amore, una bella metafora della vita.
Questo show l’ho visto a Londra sette volte (otto nel totale poiché l’ho visto anche a Tokyo).Le musiche sono fantastiche, la resa dello spettacolo dipende molto, ovviamente, dal cast al momento in scena, ma gli standard qualitativi sono decisamente notevoli. Vi invito a vedere il filmato di uno dei brani simbolo dello show, “Defying gravity” che parlando di superare la gravità, riferito alla capacità di Elphaba di volare sulla scopa, in realtà parla di essere liberi e superare i propri limiti, senza barriere che ci trattengano. 

Lo show è tutt'ora a Londra all'Apollo Victoria Theatre dove ha festeggiato l'ottavo anno di vita :)
Per chi volesse sentire gratuitamente la sondtrack, qui di seguito il link di Spotify: https://play.spotify.com/album/46VuziW5kL9Hrt5NlJtLjY



lunedì 30 giugno 2014

25/08/08 - Giorno 11

Siamo con l'animo proiettato alla partenza, perlomeno io. Alby è molto triste, vorrebbe stare ancora; io invece, come sempre, arrivato agli ultimi giorni non vedo l'ora di tornare a casa, vorrei il teletrasporto. Comunque gestiamo la giornata in modo abbastanza separato. Alberto fa un giro per Asakusa alla ricerca di scuole: nè trova tre, di cui una elementare con piscina all'aperto.
Io faccio un giro fuori dal tempio per vedere semplicemente il movimento della gente: ragazzi che si danno appuntamento lì, giude che cercano di formare gruppi per far loro visitare il tempio (a pagamento ovviamente), un nonno che porta il nipote a visitare il tempio, (un bambino dolcissimo, quando i nostri sguardi si incrociano io sorrido e lui mi stampa in faccia un sorriso a 40 denti), i ragazzi che portano i risciò che cercano clienti, intere famiglie che fanno foto e si inoltrano nella strada dei souvenir, una "bella" baraonda. M'infilo in metro e vado a Shibuya. Ho deciso per un'immersione nella musica prima della partenza: HMV arrivo! Breve  giro al piano Japan e lunga sosta al piano rock & pop. Sento nell'aria un pezzo molto tosto, vado al banco cassa e vedo il cd di un gruppo: "Valencia". Giro alla ricerca di una postazione dl'ascolto di sto disco... e la trovo: il pezzo si chiama "head in hands" ed è trooooppo tosto.

Mi esalto un po' ed ascolto qualche altro brano, per brevi istanti penso anche di comprarlo ma sicuramente lo scaricherò. Poi sento un altro gruppo, tali "Addison Road": carini dascaricare tutto il disco, un passaggio veloce su "do me more" della Amuro, ed un passaggio per il cd dei Jonas Brothers (brutto). Poi mi vedo con Alby per il pranzo. Mangiamo in un Lotteria (se vi piace mangiare nei fast food ve lo consiglio, io fan sfegatato del Mac  Donald, in Giappone ho preferito questo). Dopo pranzo sono costretto a recarmi a Niombashi per restituire il cell.noleggiato: tutto tranquillo, nessun intoppo, duemila ringraziamenti del giovanotto che ritira il cell. Torniamo a Shibuya e ci dividiamo di nuovo. Io faccio due passi nonostante la pioggia e poi mi dirigo alla Tower Record. Ricordate bene: la Tower record ha tantissime postazioni per l'ascolto di roba nuova, vecchia e vecchissima (anche cd dei Beatles erano ascoltabili), ma per DVD movie e TV drama è poco fornita. In compenso ha un discreto assortimento di cd dei musical: su tutti troneggia Wicked in giapponese (no no, tranquilli, non l'ho comprato, sono fissato ma non fino a sto punto), c'è il cd del Broadway cast di Spring Awakening... vuoi vedere che... siiiii!!! C'è!!! Il doppio cd di "in the Heights" quanto quanto sta?3150 yen: il mio cervello lavora in fretta... 18 euro. Eureka, è mio, deve essere mio, che fortuna, che culo!!! Lo compro di corsa e scopro che il talloncino che ti fanno vedere ogni tanto alla cassa è per raccolta punti per sconti; che bello, soprattutto saperlo l'ultimo giorno, che cretino io a non averlo chiesto prima... vabbè sarà per la prossima volta.
Faccio un giro tra i TV drama e resto ancora una volta sorpreso per la mancanza di cofanetti di "Lost". Ma non c'è in Giappone? Non è arrivato (non è possibile), non ha avuto successo (strano)? Un mistero! Indagherò su Internet. Mi rivedo con Alberto e torniamo verso Asakusa per cenare in un localino tipico giapponese, vicino all'albergo (la zona è Nishi-Asakusa). Il locale si chiama "Sometaro" ed è specializzato in okonomyaki: si! di nuovo okonomyaki, ma stavolta  li facciamo noi.





Precisiamo che nel locale giappo bisogna togliersi le scarpe, altrimenti non si entra. La tizia prende le ordinazioni e ci porta gli impasti. Prima differenza rispetto al locale di Shibuya: non usano l'olio usano la sugna... alla faccia della leggerezza. Seconda differenza: Taibi aveva fatto soffriggere prima gli ingredienti da cuocere, tipo la carne cruda o i gamberi crudi. Qui la tizia ci invita ad "ammiscare" tutto insieme e poi a buttarlo sulla piastra dopo che la "nzogna" si è sciolta. Obbediamo e buttiamo l'intruglio amalgamato sulla piastra. Aspettiamo i 4 minuti di cocimento del lato di sotto con ansia: si avvicina il momento di "capotare" l'okonomyaki. Ecco, ci siamo, vado prima io...ed il risultato è eccellente, non ci posso credere! Ma si, è facilissimo, tutta una questione di tecnica... meno male che mi ricordavo come aveva fatto Taibi.
Ora ecco Alberto...e su... perfetto! Ora dobbiamo solo  spennellare con la salsa e se magna.
Cavolo quanto riempiono sti cosi, sono una bomba ipercalorica. Siamo un po' tristi per la fine di questa esperienza ma possiamo dire di aver "pariato". sosta obbligatoria al Seven/Eleven per piccolo rifocillamento di schifezze varie (ho trovato le halls mentoliptus all'uva) e dritti in albergo per fare i bagagli.

24/08/08 - Giorno 10

Il maltempo imperversa ma non ci impedisce di muoverci. Come negli ultimi tre giorni, anche oggi ci da tregua fino alle 112.30 e poi parte...
La mattina la passiamo ad Asakusa, al tempio, tra foto e souvenirs
(mi sono svegliato apposta più presto per poter vedere e comprare senza fretta) mi sa che però ho perso un po' il controllo... vabbè vuol dire che farò un sacco di regali (cacchio!). In compenso non sono riuscito a comprare il cappello che hanno un sacco di ragazzi giapponesi per il prezzo, da 2000 a 3150 yen, e soprattutto perchè mi sta veramente male (sigh).
Dopo il giro souvenirs ci avviamo di nuovo ad Harajuku sperando in maggior fortuna del giorno prima. Macchè, il tempo è proprio uno schifo, entriamo in metro a Tawaramaki che è nuvoloso ma non piove, arriviamo ad Harajuku e, pare una maledizione, piove! In compenso scopriamo che il festival è anche oggi e si articola in un sacco di zone di Harajuku: una parte si svolge in strada, con le esibizioni che vanno sulla Omotesando Dori, una dietro l'altra; una parte sul parco vicino al ponte dei costplay (che anche oggi sono messi in secondo piano dal festival);

poi c'è tutta una zona dietro il parco con altre due postazioni per le esibizioni, purtroppo per i gruppi sono tutte all'aperto. In compenso pensiamo di aver capito effettivamente che rappresentano i vari gruppi: scuole di danza, ce n'è addirittura una con la bandiera e la scritta del Ghana con ragazze di colore, pensiamo siano ovviamente ghanesi, e ragazzi giapponesi, esisterà una comunità ghanese in Giappone, boh? Facciamo un giro anche nel parco Yoyogi, che è veramente bello e suggestivo, anche con la pioggia, anche se probabilmente col sole sarebbe stato meraviglioso e ci avrebbe consentito di fare qualche foto. Alby ha la sua piccola disavventura della giornata: trova a terra una scheda di quelle che vanno nelle macchine fotografiche digitali: cacchio,mi immagino l'animo del tizio che l'ha persa! Ricordando la disavventura di ieri ed il dramma che avremmo avuto se avessimo perso quelle foto, cerchiamo il modo più opportuno per aiutare lo sventurato o la sventurata che ha perso la scheda. Cerchiamo l'hoban più vicino (postazione della polizia di quartiere) ed Alby consegna la scheda spiegando dove l'ha trovata. Speriamo sia servito a qualcosa: in compenso mentre uscivamo alla stazione di Harajuku mi è capitata una delle cose più strane di sta vacanza: mi metto in posa per una foto sotto le lattine "black" gigantesche e si avvicina un giappo di mezza età che si fa la foto con me! E poi mi ringrazia! Resto di stucco, è un barbatrucco!
Alby asserisce che così la foto è più interessante... senza parole. L'acquazzone è talmente forte che decidiamo di fare una capatina in albergo a cambiarci e poi ci avviamo in un posto a caso per cena.... Su tutti in coro: Shibuja!!!
Stasera siamo in vena di udon (in realtà io ho voglia di udon da tre giorni, voglia fino ad ora insoddisfatta). All'uscita della Shibuya Station troviamo un trio che, sotto la parte coperta  (mica scemi) suona live: cantante chitarrista elettrico, chitarrista acustico e cori, batterista che però lì suona uno strumento che sembra chiamarsi "cho": uno strumento a percussione che fa un suono diverso a seconda della superficie che tocchi; tutti vestiti con camicia e pantaloni neri e cravatta rossa, decisamente carini... Ma la fame urge. Troviamo un locale dove fanno gli udon con il distributore automatico di ordinazione, troppo comodo anche se stavolta molte cose ci sono escluse perché non hanno nome in lingua occidentale o foto. Il mio udon è eccelso ma ad Alby va meno bene, il suo ha troppa verdura. Proviamo a fare una passeggiata ma è un nubifragio e mentre torniamo verso la metro il terzetto live sta ancora suonando dopo una pausa "cibo"; sentiamo qualche altro pezzo e per la fedeltà ci regalano il loro cd autoproduttissimo, si chiamano Clutcho.
Non vedo l'ora di tornare al mio pc per sentirlo. Al ritorno becchiamo un gruppo di italiani alla metro di Tawaramaki e partecipiamo alle risate generali per la caduta di una di loro, che per la definizione di uno del gruppo, è caduta "come Cristo in croce". Sosta al Seven/Eleven per acquisto di: latte col caffè per la colazione di domattina, panino al melone per la sperimentazione di Albye biscotti al cioccolato per il mio bisogno d'affetto. La giornata può anche finire.

domenica 29 giugno 2014

23/08/08 - Giorno 9

Giornata funestata dal maltempo (e dal mio mal de panza). Obiettivo della giornata (è sabato): Harajuku. Giunti alla zona (il tempo è coperto ma non ha ancora deciso di pisciarci in testa) ci blocchiamo davanti al ad un Festival...
Non abbiamo capito bene se si tratta di gruppi di quartiere, zone, fermate della metro, famiglie, gruppi etnici etc.etc. ma sono spettacolari. Su musiche originali e non (supponiamo anche tradizionali) ma decisamente in chiave pop, danzano cantano e sbandierano con un sincronismo da far paura. Il coinvolgimento del pubblico non è il massimo (anche ieri a teatro se è per questo), i giapponesi in certi contesti sembrano un po' freddini.
Dopo essere stati rapiti da balli e canti per almeno un'ora, veniamo "beccati" dalla pioggerellina d'Agosto e dalla fame di Alberto. Sosta per pranzo in un "Lotteria": ebbene si! Esiste una catena simil-Mac che si chiama "Lotteria" e si mangia anche piuttosto bene, a dire il vero. Partiamo quindi alla scoperta della zona, molto vicina a Shibuja e si vede: molto pop-rock, zona molto incentrata sull'abbigliamento.
C'è la zona "in", con i palazzi (badate bene, palazzi non negozi) di Gucci, Armani, Fendi, Prada etc. Poi c'è la Harajuku street con i negozi per il gusto di "noi" giovani (mi ci metto pure io), anche per portafogli più contenuti. Un malato di moda in questi posti ci può perdere la testa. Trovi capi dai colori o abbinamenti assurdi a prezzi moooolto buoni, sembra che i giovani giapponesi tengano particolarmente a personalizzare i capi di abbigliamento con pelle, borchie, strappi etc. etc. Entriamo nel Kiddyland, palazzo di giocattoli di tutti i tipi, un po' come lo store a Shimbashi. Trovo un pensierino per Alfredo ma soprattutto la tazza del maiale di Yattaman (sta diventando una fissazione). Poi visitiamo "L'Orient Bazaar" store, rinomato per l'acquisto di souvenir, da pochi yen fino a cifre astronomiche (se vuoi  ti vendono anche le armature giapponesi del '600). Prendo delle cartoline ed una fascia di quelle per "motivare" chi la indossa: chi ha visto un manga oppure un cartone animato giapponese, ha visto queste fasce che si legano in testa per prepararsi ad un esame, per un combattimento, prima di un impegno importante etc. Io ne ho comprata una a Carmine con la scritta che vuol dire "kamikaze" (a buon intenditor poche parole), Alby una a Faby per la buona riuscita degli esami (rideremo). Poi ha preso delle semplici e belle stampe per due novelli genitori, nostri amici, coni simboli di "mamma" e "papà" e vari altri souvenir. Poi ci siamo recai presso il "Daiso": dopo l'inizio della crisi economica in Japan sono sorti un sacco di negozi che vendono tutti articoli (o quasi tutti) a 100 yen l'uno. Questo che è ad Harajuku è a 4 piani e c'è di tutto per la casa, dal cibo ai cosmetici, alle bacchette, alle zucche di Halloween. Purtroppo il Daiso in questione diventa oggetto di una nostra breve disavventura.
Dopo aver comprato qualche cianfrusaglia ed avviatici ancora per Harajuku street, all'imprvviso Alby si rende conto di non aver più la macchina fotografica. L'ha lasciata al Daiso quando, per maggiore sicurezza nel trasporto, ha accuratamente incartato una delle cose che ha comprato. Oh lutto profondo!!!
Oltre al peccato per la macchina fotografica bellissima, ultramoderna e praticamente nuova, comprata appositamente prima del viaggio, ci sono tutte le foto fatte fino ad ora, perdute irrimediabilmente. Questi i nostri pensieri mentre corriamo indietro verso il Daiso, sperando nel miracolo. Mi viene purtroppo in mente il film già visto delle foto di Londra, mentre sento Alberto dietro di me che continua a riempirsi di "complimenti" (idiota e  coglione tra i più lusinghieri). Ancora una volta avevamo sottovalutato la correttezza e la precisione dei giapponesi (in realtà un po' ci speravamo): arriviamo al Daiso ed Alby chiede alla cassiera se hanno trovato una macchina fotografica... Ovviamente si!!! Accompagnano Alberto in una sala delle cose "lost & found",  gli ridanno la macchina fotografica e gli chiedono cortesemente di controllarla. Incredibili!
Decisamente risollevati di spirito per il lieto fine, ma contemporaneamente sotto un acquazzone torrenziale decidiamo giocoforza di rientrare ad Asakusa... complice anche il mio mal di stomaco. Breve pausa in albergo, cena  in un locale vicino, specializzato in tonkatsu, dove il proprietario ci offre doppia razione d'insalata per farci provare la salsa di sesamo: in pratica mi mangio l'insalata d'accompagnamento al katsudon, affogandola nello schizzo di maionese che la cameriera mi porta. Mentre la finisco il proprietario mi vede e mi spiega in inglese, più o meno, che ci va sopa  la salsa di sesamo, che mi indica e che è "wonderful" a suo dire. Vedendo che però non posso provarla mi fa portare altra insalata, così ci metto sopra la salsa di sesamo, risultato: una schifo! Me la mangio tutta sorridendo perché il proprietario mi continua a guardare mentre la mangio (che culo!). E' stato comunque molto carino. La serata finisce con chiacchierata sull'amicizia con Alby, iniziata male (con il sottoscritto altamente a disagio e "sofferente") e finita discretamente, a parlare di Caludio, Enzo, Angela e cavoli vari (meno male). C'è comunque grande necessità di un chiarimento al nostro ritorno, anche di un chiarimento totale; spero di averne il coraggio, ma all'amicizia di Alby  ci tengo... e devo!!!